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In morte di Franco Califano

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view post Posted on 4/4/2013, 10:16
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Trafficante di sogni

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Non credo di aver mai avuto un disco del Califfo e sono sicuro di non aver neanche mai pensato di andare a sentire una sua esibizione, né ricordo di essere stato particolarmente impressionato da sue performance televisive. Sicuramente praticava un ambito musicale che non ho condiviso.
Poi, sui giornali, non solo romani, e in tv ha ottenuto riconoscimenti che, solitamente, vengono tributati a personaggi di diverso spessore. Solo coccodrilli? Forse no.

Franco Califano nasce a Tripoli nel 1938 ma la famiglia si trasferisce quasi subito a Roma, a Primavalle. Oggi è un quartiere, allora meno di una borgata. Nell’immaginario collettivo romano, dagli anni sessanta agli anni ottanta, Primavalle è la definizione geografica, insieme a Trullo, Tufello e San Basilio, del piccolo banditismo cittadino. Si dice “il limite di velocità è 50 kmh,a Primavalle devi andare almeno a ottanta che a 50 ti rubano le gomme in corsa”; se sparisce una macchina sotto casa è in quei quartieri che si va a fare un giro disperato per ritrovarla. A metà anni ottanta, andai a giocare una partita del Targa d’Oro al campo del Tanas, in squadra con me c’erano 5-6 poliziotti; si portarono le pistole a bordo campo nascoste in un borsone perché “… qui non si può mai sapere cosa succede …”. Oggi, per fortuna, non è più così, tutte quelle borgate sono diventate quartieri “normali” dove si vive come in ogni altro luogo.

Insomma, il Califfo cresce in una borgata difficile, forse la più difficile. E cresce col pelo sullo stomaco, che altrimenti diventi “soggetto” e son dolori. Non frequenta il miglior liceo classico di Torino né la Bocconi, non è quello il suo destino sociale. Però impara a scrivere. E quello che scrive ha una sorta di armonia musicale. Perché non tentare la strada della canzone? La voce è roca, forse deve cantarle qualcun’altro. Va a Milano, dove frequenta gli stessi ambienti di tutti gli altri, anche il Derby. Frequenta Villaggio, Teocoli, Boldi, Abatantuono. Anzi, è proprio a causa di Teocoli e Boldi che incrocia Turatello, in un bar dove i due si esibivano. E scrive. Alcune perle, riconosciute da tutti come tali, nell’alveo del melodico italiano, sono sue, da “Una ragione di più” a “E la chiamano estate”, fino a “La musica è finita”. Ma allora, forse, non è stato solo l’autore di Minuetto…

Finisce in carcere due volte. Sempre per storie di droga. La prima nella storia di Walter Chiari, la seconda in quella di Enzo Tortora. In entrambi i casi viene assolto perché il fatto non sussiste, mentre Chiari verrà condannato. Ma lui non è né “l’arguto comico milanese”, né “l’elegante presentatore genovese”. Lui è il borgataro di Primavalle. Non merita alcuna compassione. È comunque il prototipo del farabutto. Romano, coatto, donnaiolo, strafottente, intollerante alle regole. In totale, si fa due anni di carcere e ne esce vivo. Perché sa vivere. Sa cosa si fa e cosa no. Parla il linguaggio della strada, non quello dei licei esclusivi. Se il boss ti chiede di cantare per lui lo fai, senza spocchia ma a testa alta. Cucini per i compagni di cella, ma non piangi, non ti disperi, non urli che sei innocente. Così salvi sia il culo che la pelle.

Incrocia quelli che diventeranno i boss della Magliana. Quando è a Roma – poco, perché all’epoca lavora quasi sempre a Milano – lo invitano alle feste e lui ci va. E forse compie lì il suo vero peccato morale, se è vero che “L’ultimo amico va via” è dedicata a Franco Giuseppucci, Il Negro, il più sanguinario dei capi della banda. Se è vero … visto che la canzone parla dell’ultimo amico celibe che si sta per sposare …

Tante donne. Un grande amore famoso, quello con Mita Medici, che ancora oggi parla di quel periodo con grande tenerezza. Una casa a Collina Fleming – stavolta l’opposto di Primavalle, stavolta il top del benessere romano – che è un porto di mare di artisti, un happening costante. Mi piacerebbe sapere se è quello l’appartamento di cui narra Gianfranco Calligarich nel suo bellissimo libro “L’ultima estate in città”.

Io non ho mai conosciuto Franco Califano personalmente. Non ho strumenti per stimarlo o disprezzarlo. Né ho intenzione, e forse neanche il diritto, di farlo. Quello che so, dalle cronache e dai racconti, è che è stato un uomo che ha vissuto la sua vita.
 
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