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A SUD DELLA MEMORIA: L'EMIGRAZIONE ITALIANA, Numero 2 - Storia

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view post Posted on 16/2/2010, 23:02
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A SUD DELLA MEMORIA: L'EMIGRAZIONE ITALIANA

Se c’è una vicenda che si ripete all’infinito, senza mai dare l’impressione di avere capitalizzato, sia pure in minima parte, la storia recente, questa è l’emigrazione.
Siamo stati il sud del mondo, lo siamo ancora oggi, in diverse parti del globo, rappresentando all’estremo proprio ciò che la parola Sud evoca in buona parte del nostro settentrione: criminalità, miseria, degrado, fastidio.
Un sud enorme, eterogeneo, che spaziava dalla Sila al Polesine, dal Salento alle Langhe: una folla grande quanto l’Italia di cent’anni fa si è mossa, eppure nei libri di storia della nostra scuola non ne trovi traccia. Sconosciuta, negata, sparita. Nessuna traccia dei milioni di Parodi, Zola, Caputo, Mastropiero, Toffolin e Puglisi che hanno lasciato il paese per inseguire la speranza, e spesso hanno perso entrambi. image

L’assenza di questa tappa fondamentale della storia nazionale nella formazione scolastica è proporzionale al desiderio di rimozione espresso quasi con ferocia proprio in alcune delle zone del paese in cui più forte è stato il fenomeno. Per noi invece, il ricordo, anche nei limiti angusti di un articolo su questo sito, permette di tracciare la genesi del pregiudizio che infiamma il dibattito contemporaneo.

Cerchiamo di chiarire, prima d’ogni altra cosa, la portata storica del fenomeno emigratorio italiano: il nostro è stato l’esodo più imponente della storia moderna e contemporanea.
Calcolato sulla distanza di un secolo, dal 1876 al 1976 (in altre parole ieri sera, per la storia), quando per la prima volta il flusso migratorio ha registrato un saldo a favore degli ingressi in Italia rispetto alle uscite, ventisette milioni d’Italiani hanno cercato la “Merica” in ogni angolo del mondo, lo stesso numero dei residenti nello stivale al momento dell’Unità del Regno: un’altra Italia fuori di casa, come quella di oggi, con sessanta milioni di connazionali sparsi in ogni angolo del globo.
Record assoluto, per essere chiari, con qualche sorpresa, almeno rispetto all’infinita superficialità con cui il problema è trattato: la leadership migratoria spetta al nord, che svolge a tutti gli effetti, nel periodo considerato, il ruolo che istintivamente viene assegnato al Sud nella percezione contemporanea, certo amplificata dal maggiore coinvolgimento del mezzogiorno nel flusso recente verso il triangolo industriale e l’Europa centrale, nel secondo dopoguerra, e dalla martellante rappresentazione del fenomeno fatta da Hollywood, che ha riproposto l’italiano conosciuto, il “dago”meridionale, dove Brasile o Argentina o Australia non hanno avuto un cinema altrettanto importante che rappresentasse il “macaroni” di casa, tipicamente veneto, lombardo, ligure, al quale veniva riservato però lo stesso trattamento.

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Il Veneto (prima regione per numero assoluto di emigranti, 3.300.000 nel periodo considerato). la Lombardia e il Friuli hanno “esportato” speranze e miserie per sette milioni e mezzo di persone, contro i sette milioni circa di Sicilia, Campania e Calabria e le direttici di migrazione che indicano come questa sia avvenuta in misura pressoché identica verso il vecchio e i nuovi continenti: Francia, Svizzera e Germania e Belgio, i primi quattro paesi europei di questa particolare classifica, sono, con 12 milioni di emigranti, avanti a Usa, Argentina, Brasile e Australia (11 milioni).
Di questa memoria “vicina”, paradossalmente, risulta ancora più ingombrante e fastidioso il ricordo, avvertito come dequalificante, proprio nel momento dell’unificazione europea.

Prendere in esame l’emigrazione verso l’estero e quella interna consente di avvicinare le giovani generazioni alla questione migratoria. "Siamo tutti americani, siamo tutti immigrati" era lo slogan dei progressisti statunitensi degli anni trenta in risposta agli xenofobi che non volevano immigrati nel paese. I cosiddetti Wop (acronimo per without papers ma assonanza dichiarata con la parola guappo, con cui venivano indicati sprezzantemente gli italiani) di allora come i “sans papier” dei moti francesi di dieci anni orsono. La storia, spesso, ripete rimastica e sputa le stesse istintività, le stesse ideologie e addirittura le stesse parole.

Ma cosa ha realmente significato il fenomeno migratorio per il nostro paese? Salvemini, studioso italiano tra i più qualificati diceva “Nel Sud si ricava dalla terra appena tanto da mangiare e da pagare le tasse… E alla prima difficoltà tutto va per aria. Se non ci fosse l’emigrazione transoceanica, avremmo ad ogni cattiva raccolta... delle vere e proprie crisi di fame….
Esportazione della miseria, quindi: le retoriche sull’ingegno e sullo spirito d’iniziativa che abbellivano il Bisogno sono stata una costruzione ideologica successiva, soprattutto nel ventennio fascista, quando la declamazione delle conquiste del regime aveva a supporto la negazione del fenomeno e si contraddiceva apertamente proprio nell’esaltazione della fecondità che ci veniva rimproverata ovunque.
Essì, eh, perché mentre a New York e a Buenos Aires ci accusavano di essere “dagoes” (accoltellatori) e di figliare come conigli, Mussolini benediceva a Roma una parata di 93 madri italiche con i propri 1320 figli, circa 14 a testa.

Le modalità dell’emigrazione e dell’insediamento erano poi, a volerle leggere, anticipazione fino al dettagli di quanto avviene oggi e si articolarono prevalentemente attraverso catene migratorie per linee familiari, campanilistiche, regionali e di mestiere.
Non si contano, soprattutto nella fase iniziale dell’esodo, i numerosi episodi di taglieggiamento e di truffa ai danni chi doveva procurarsi il biglietto transoceanico (le stime indicano che più della metà degli emigrati negli anni novanta partì con un biglietto prepagato, che comportava un mercato e un negoziato di malaffare ai due estremi della rotta) e una volta giunti a destinazione la triste storia continuava ai danni di molti immigrati italiani, che dovevano versare una tangente per ottenere un lavoro e l’abitazione e avevano l’obbligo di acquistare le merci in uno spaccio indicato.image
Per chi ci arrivava, naturalmente: e a questo proposito basta ricordare il bel racconto di Sciascia "Il lungo viaggio" in Il Mare colore del vino, che chiama a protagonisti gli emigranti fatti salire su una nave con destinazione dichiarata l’America e poi sbarcati in una credibile “clandestinità” sulla costa siciliana dopo aver circumnavigato l'isola chissà quante volte.

La crescita del pregiudizio è proporzionale alla rimozione della memoria, ma uno sforzo minimo di onestà intellettuale porterà ad una conclusione soltanto: ogni nefandezza che noi oggi rimproveriamo agli immigrati, l’abbiamo commessa prima di loro.

Li accusiamo di avviare le loro donne al mercato della prostituzione: siamo degli esperti in materia, i bordelli delle città del Mediterraneo prima e dell’America poi erano pieni di Teresine e Concette. image
Rubano il lavoro ai nostri disoccupati, urlano le menti superbe di qualche miracolo appena accennato e già in esaurimento: per la stessa accusa, ad Aigues Mortes (sud della Francia, mica la Nuova Zelanda, dove i cuneesi in particolare rappresentavano la manovalanza occasionale) ci hanno ucciso e fatti a pezzi a decine.
Il problema della criminalità? Non scherziamo, siamo stati dei maestri. Agli inizi del novecento, negli Usa, ogni tre francesi, quattro irlandesi e sette inglesi in gattabuia, c’erano venti dei nostri.
E non c’è da stupirsi, era tutta gente emigrata da un paese dove la mortalità media arrivava a malapena ai quattordici anni e l’analfabetismo qualificava quasi la metà degli italiani, contro il 3% dei tedeschi e il 2% medio di chi viene oggi a cercare la vita da noi.. Cent’anni fa, non nel Mesozoico.
E se nel traffico dal sud del mondo a qui, oggi, non c’è tribuno da quattrosoldi che non scorga legioni di terroristi di fatto o potenziali, anche in questo caso non dobbiamo imparare niente da nessuno: Mario Buda, romagnolo, si faceva chiamare Mike Boda e il 16 settembre 1920 fece saltare in aria Wall Street (l’attentato più sanguinoso negli Usa, fino a quello di Oklahoma City).

«L’unica vera e sostanziale differenza tra “noi” allora e gli immigrati in Italia oggi è di solito lo stacco temporale. Noi abbiamo vissuto l’esperienza prima, loro dopo. Punto» scrive GianAntonio Stella, autore dello splendido volume “L’Orda: quando gli albanesi eravamo noi”

Letto, approvato, e sottoscritto. A muso duro. Da ricordare, e da far ricordare, quando guardiamo a Sud: prima di ogni considerazione, prima di prenderla storta, prima di decidere qualunque cosa, dovremmo ricordarci dei Pittaluga e dei Santonastaso, dei Brambilla e dei Cuomo, dei Cardin e dei Giovinazzo che guardavano a Nord e a Ovest.
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di Web Michi
 
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view post Posted on 22/11/2017, 16:09
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Dalla Rete

"Individui più abietti, più pigri, più depravati, più violenti e più indegni che esistono al mondo, peggiori dei negri e più indesiderabili dei polacchi”. Così Joseph Shakespeare, il sindaco di New Orleans, definiva gli italiani. Nella sua città avvenne il più grande linciaggio di nostri connazionali nella storia degli Stati Uniti.
La parola linciaggio nelle nostre menti evoca sempre la stessa immagine: un nero appeso ad un albero del Mississippi. Pochi sanno che quei cappi, tra fine ottocento e primi del novecento, hanno stretto il collo di 34 italiani.
Nell’America di quegli anni, gli italiani erano considerati alla stregua di bestie da soma. I padroni li cercavano avidamente tanto per retribuirli con salari bassissimi quanto per affidargli i lavori più massacranti. I "proletari" li detestavano, nel nome di una guerra tra poveri mai sopita. La classe media li guardava con ribrezzo e riprovazione. Nel Sud erano ritenuti una sorta di “razza” a metà bianchi e neri. Nel Nord gli si rimproverava di essere degli avidi, quasi che fosse un crimine risparmiare per mandare qualche soldo alla famiglia. Ovunque erano considerati mafiosi e criminali.
Insomma il terreno era troppo fertile di odio, razzismo e impunità perché ai nostri connazionali fossero risparmiati "corda e sapone". Il primo cappio fu stretto in Viriginia, nel 1886, l’ultimo in Florida, nel 1910. In mezzo altri luoghi, altre date, altre morti. In mezzo New Orleans.
Tutto cominciò con l’assassinio, il 15 ottobre 1890, del capo della polizia cittadina. Le ricerche si concentrano sui 30.000 cittadini italiani. Arresti indiscriminati, violenze, confessioni estorte sotto tortura furono i mezzi utilizzati dalla polizia per trovare i colpevoli. Le indagini si conclusero con un rinvio a giudizio di 9 italiani, che vennero prosciolti in sede giudiziaria. La stampa urlò allo scandalo, parlò di processo farsa. Il montante clima di odio fu cavalcato dalle autorità locali, sindaco in testa. Un pubblico proclama, firmato da membri eminenti della comunità locale, finì sulle pagine dei giornali. Invitava il "mob" a farsi giustizia. La folla rispose. Dai 6000 ai 30000, si recarono il 31 marzo 1891 alla prigione di New Orleans e ivi uccisero undici italiani.
Il Regno d’Italia, come in altre occasioni, si accontentò del cosiddetto “prezzo del sangue”, un vergognoso risarcimento in denaro con cui il governo americano, a ragione, di risolvere la questione del linciaggio degli italiani. Una triste ma fin troppo realistica vignetta di un giornale raffigurava il segretario di Stato che porgendo una borsetta all’ambasciatore italiano diceva “costano tanto poco questi italiani che vale la pena di linciarli tutti”.
La storia dei linciaggi terminò molto dopo. Furono appesi giovani e vecchi, colpevoli e innocenti, neri, gialli, messicani e anche bianchi. 34 di loro erano italiani.

Edited by condor57 - 22/11/2017, 16:50
 
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