IERI OGGI & DOMANI

Grette, storia camalla di pallone e tappi di bottiglia

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view post Posted on 9/5/2009, 20:34
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Senza le grette forse non sarei stato genoano. O, meglio, a decidere la mia sorte fu il contrasto violento e incredibile tra quelle e il calcio vero: fu così che nel forsennato tentativo di adattare la realtà al gioco mi trovai preso in una morsa di ferro, rossa e blu, dalla quale non mi sono più liberato.

Tra i dieci e i dodici anni, a Pegli (un segno del destino, ero incastrato tra la casa natale di Fabrizio De Andrè ed il Pio XII, che sarebbe diventato lo storico campo di allenamento del Genoa) ero un fuoriclasse delle grette. Questo meraviglioso gioco di strada, diffusissimo fino agli anni ottanta, era basato sui tappi delle bottiglie; questi, messi a disposizione da lattai e baristi benevoli, che spesso ne conservavano per noi alla fine della giornata sacchetti interi, opportunamente lavorati (la perizia artigianale di alcuni di noi era formidabile, si sarebbe giustificata una specializzazione all'ITIS) diventavano le grette da usare per il gioco.

Una versione del gioco poteva essere il ciclismo: si disegnava una pista sul marciapiede con il gesso e poi si "correva" muovendole con diversi e sapienti colpi delle dita, che ripetevano e modulavano con più garbo e precisione la sempiterna bicellata (questa, come sanno tutti, voleva l'indice o il medio caricati a molla sul polpastrello del pollice per poi colpire l'obiettivo; se questo era l'orecchio del compagno di scuola, come accadeva di norma, si potevano scatenare risse furiose ed era quindi consigliabile applicare la bicellata e le sue varianti esclusivamente al gioco), come con le biglie sulla spiaggia. I "professionisti" riempivano le grette con cera o pongo, a guadagnare maggiore stabilità in percorsi spesso disegnati, come Genova comanda, su spazi minimi e saliscendi da paura, roba che il Puy de Dome al Tour de France faceva ridere.

Grette era però soprattutto calcio, e nella sua applicazione più raffinata lasciava le strade per entrare nelle case: su un tavolo rettangolare si metteva il panno verde utilizzato di norma per i giochi di carte, si prendevano ventidue grette ed ecco servito il proto-Subbuteo. Noi potevamo contare per di più su una particolare dotazione che faceva l'invidia di tutta Pegli: il papà di un mio compagno di gioco faceva il fabbro, e ci fece saddio quante miniporte che come rete utilizzavano il tulle normalmente usato per i sacchetti dei confetti (eravamo abituati troppo bene, di solito una scatoletta di cartone tagliata a metà assolveva perfettamente allo scopo). La stessa persona riempiva poi di stagno fuso le grette dei portieri che, nel nostro regolamento, dovevano avere un peso maggiore di tutti gli altri tappi (pardòn, giocatori) ché risolvere nell'arbitraggio il problema della carica al portiere non era fatto in sé banale: risolta con la minore facilità di spostamento, veniva sanzionata solo quando il giocatore, pardòn, la gretta finiva per sovrapporsi a quello. Il pallone era un anello per tende (preferibilmente di metallo, la merciaia che ce le vendeva ha vissuto fino a poco tempo fa e quand'ero bambino immancabilmente mi diceva: "Michelino, tu e quelle legère dei tuoi amici..."; la signora ricorreva ogni tanto ad una versione più esplicita della stessa frase, sostituendo a legère il corrispondente termine genovese di "contraccettivo") ma anche la plastica non andava male. Tra i tappi migliori destinati a diventare grette, c'erano quelli della Gazzosa Lagomarsino, a tutti gli effetti il tappo dei campioni, nel quale alloggiavamo un pezzetto di carta rotondo e colorato. In alcuni casi una micro opera d'arte, che qualificava squadra e giocatore.

Con le grette avevo pure capitalizzato la mia unica propensione artistica: le maglie per le grette suddette, che disegnavo (moneta da cento lire, righello, pilot colorati) non solo per me ma anche per i miei compagni più facoltosi che, all'uopo, mi pagavano fino a cinquecento lire per una squadra completa di undici titolari e cinque riserve. Immancabilmente costretto a misurarmi con la grande Inter, con il Real Madrid, poi con il Benfica di Eusebio e il Manchester di Best mi ritagliai uno spazio tutto mio ma senza il trasporto che provai in seguito e che allora non trovava premesse importanti: mio papà tifava soltanto per la nazionale, mio fratello maggiore era un blando juventino ma di piede fino, mio fratello minore era ancora piccolo e vedeva soltanto i trenini prima di essere a sua volta travolto dalla leggenda di Spensley, le donne di casa erano agnostiche. Iniziai così a disegnarmi più e più Genoa, perché no, per partecipare a campionati e coppe che giustificavano, in caso di particolari tensioni agonistiche, ritardi clamorosi e inevitabili rovesci scolastici (si tornava a casa tardi, appena prima di cena, e all'immancabile domanda "hai fatto tutti i compiti?" si mentiva spudoratamente, cosa non altrettanto facile con maestri o professori la mattina successiva).

Riuscii comunque a fare vincere al grifone qualunque trofeo: scudetto, Coppa delle Alpi, coppa dei campioni, addirittura la finale di una improbabile coppa del mondo mista nazionali/club contro l'Inghilterra. Due a zero, con goals di Brambilla e Canella - non so se mi spiego - che surclassarono per tutta la partita con arrogante superiorità i diretti avversari Stiles e Jackie Charlton, forse penalizzati dal fatto di muoversi sui tappi della birra Moretti, di sicuro tra i peggiori che i leoni di Wembley potessero augurarsi. Inutile poi dirvi di che squadra erano di norma i sei undicesimi della nazionale: il "blocco" della grande Inter era sostituito con sfrontata naturalezza da quello del Genoa. Così, pur se a volte il pudore mi frenava e confermavo tra gli azzurri i mostri sacri del momento, non era però infrequente sentire recitare veri e propri insulti al decoro quali: Da Pozzo, Burgnich, Facchetti, Baveni, Bassi, Rivara, Bicicli, Locatelli, Mazzola, Rivera e Riva.

Il Genoa per me era quello, al massimo quello delle figurine (con le quali non ero però altrettanto bravo, quando si giocavano a muro ero degno al massimo della panchina): a Marassi non mi accompagnava nessuno, e le vicende del campionato le seguivo poco. Quest'ultimo fatto, in verità, era stato determinato anche dalla mia prudenza perché scommisi a scuola, anno di grazia 1965, sul risultato dei grifoni a Torino contro la Juventus: mal me ne incolse, Leo Grosso esordì quel giorno in porta al posto di Da Pozzo e ne prese sette, ovviamente a zero, e tanti saluti alla mia merenda. Un primo sussulto, presagio di ciò che avrebbe segnato la mia vita, lo ebbi quando la televisione trasmise il secondo tempo di un derby vinto con una legnata dalla distanza di Franco Rivara. Ne provai gioia - la giovanissima età m'impedì di cogliere l'allarme - e pensai banalmente a quanto sarebbe stato bello se fossi riuscito vedere una partita vera in uno stadio vero, con giocatori dotati di gambe vere e non di tappi. Ma con quelli non ce n'era per nessuno: il Genoa a grette era grandissimo, e io con il Genoa.

Fu Agostino, un simpaticissimo collega di mio padre (e genoano da barzelletta, lui viveva addirittura in corso De Stefanis e mi divertiva moltissimo ascoltare i suoi racconti di vita vissuta basati su quanto a suo dire si riusciva a cogliere dal cancello dei "distinti", uno dei settori centrali dello stadio), a capire più di altri questo mio desiderio e un giorno, finalmente, feci con loro la mia trionfale prima al Ferraris, salendo la rampa elicoidale che introduceva alla nord, dotato del famoso cuscinetto pieghevole rosso e blu, ché allora la partita si guardava ancora seduti sui gradoni. Era il 21 maggio del 1967, dalla scaletta sotto la sud uscirono Grosso, Caocci, Vanara, Colombo, Bassi, Rivara, Taccola, Lodi, Petrini, Brambilla e Gallina. Il mister in panca era Tabanelli. Mio padre credo che non abbia quasi mai guardato il campo: ogni qual volta sollevavo lo sguardo trovavo il suo, è uno degli ultimi bei ricordi che ho di lui. Tanti anni dopo io feci con mio figlio esattamente la stessa cosa, che da bambino mi era risultata incomprensibile, quando lo accompagnai allo stadio per la sua prima volta. Quel giorno purtroppo non andò come a grette: l'avversario non era l'Inghilterra ma il più modesto Padova, ciò nonostante il Genoa non riuscì a schiodare il risultato dallo zero a zero.

Un banale equivoco, pensai, con inconsapevole e già marcato coinvolgimento. Probabilmente non di equivoco si trattava, visto che la successiva domenica a Palermo il Grifo andò sotto per tre a uno, e mi trovai con molta sorpresa smentito nelle mie convinzioni. Non chiesi a papà e Agostino di tornare a Marassi la domenica successiva, e fu uno dei più clamorosi sbagli della mia vita: il Genoa infilò otto goals alla Reggiana, tanto ad anticiparmi la serena e quasi monotona continuità che regolarmente caratterizza le nostre vicende, sempre lontane da ogni eccesso. Il risultato esagerato di quella partita (forse chi ebbe modo di vederla fu convinto di essere stato vittima di un'allucinazione collettiva) a me risultava invece assolutamente famigliare (una volta a grette umiliai il Milan di Rivera e Amarildo per 10 a 2) e mi diceva che sì, era il calcio la continuazione del mio gioco e non viceversa. Solo un fatto non tornava, che la Sampdoria e il Varese potessero vincere il torneo (era la B, tanto pe' cangiâ); questo no, nella realtà non era proprio possibile.

Il campionato purtroppo era agli sgoccioli, mancavano solo due giornate alla fine, entrambe in trasferta e segnate da inspiegabili, ulteriori sconfitte: di CIA e KGB allora se ne parlava già molto, ma ne sapevo ovviamente poco o nulla. Ciò non toglie che iniziai a pensare a quale oscura causa, certamente non tecnica, potesse causare alla mia (ormai lo era a tutti gli effetti) squadra di subire gli 1-2 e 1-3 rispettivamente con Catania e Novara. Qualcosa non andava per il verso giusto, a grette non sarebbe mai successo. Avrei dovuto svelare l'arcano da solo, perché non avrei più potuto chiedere a mio padre di tornare a vedere la partita con lui: quella con il Padova fu la prima e l'unica partita che vedemmo insieme, e non la dimenticherò mai.

Iniziai a seguire il Grifo con i miei amici, secondo uno schema obbligato che ci voleva sul "suburbano" - allora il treno locale si chiamava così - delle 13,28, la corsa da Brignole al Ferraris passando per Borgo Incrociati, la sistemazione cabalistica (imparai col tempo che al Genoa non c'è cabala che tenga, ma ci faceva comodo crederlo in virtù di non so che precedente) nello spicchio sopraelevato di gradinata proprio sulla curva, al confine con i distinti. Non sto a dirvi della via crucis che ne seguì: quello fu l'anno del campionato che terminò a luglio, che volli seguire stoicamente nel doppio capitolo degli spareggi fino al ventuno di luglio, grazie anche allo spirito di iniziativa di un bar del lungomare che ci diede modo di avere gli aggiornamenti via radio proprio come facevano a De Ferrari. Pensai ancora che il peggio fosse ormai alle spalle, ma non avevo ancora visto nulla.

Ecco, mentre scrivevo mi sono finalmente dato la risposta alla mia ostinata partecipazione del Genoa, delle sue vicende, dei suoi personaggi: lo faccio per ricostruire l'equilibrio che io so esistere tra il calcio giocato e quello, ben più attendibile e gratificante, delle grette. Io so che il Genoa vincerà di nuovo scudetti con assoluta regolarità, che le Coppe ci vedranno abituali dominatori e che la FIFA prima o poi si deciderà ad istituire un torneo misto nazionali/club che padroneggeremo fino al trionfo finale, sempre contro l'Inghilterra. Torneremo alla normalità, insomma.
 
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view post Posted on 9/5/2009, 21:39
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Talebano

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Chapeau!!
Mi hai quasi commosso.
Io a grette gioocavo nelle piste ciclabili ed appunto per questo cominciai a tifare per la Samp :D
Tu però con le grette dovevi darti alla lippa, altro che al calcio, non so se mi spiego ;)
 
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view post Posted on 9/5/2009, 21:44
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CITAZIONE (pholas @ 9/5/2009, 22:39)
Chapeau!!
Mi hai quasi commosso.
Io a grette giocavo nelle piste ciclabili ed appunto per questo cominciai a tifare per la Samp :D
Tu però con le grette dovevi darti alla lippa, altro che al calcio, non so se mi spiego ;)

Grazie, Mauro, davvero. Certo che, a parte te, spiegare qui come si faceva a giocare coi tappi in una città come la nostra non è facilissimo...
 
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view post Posted on 9/5/2009, 21:46
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grandissimo racconto Michele, l'ho letto e riletto.
io non avevo le grette, ma il mio calcio è tuttora formato da giocatori di Das, ognuno diverso dall'altro, ognuno con la sua anima.
tuttora mi capita di giocare, il mio capocannoniere di tutti i tempi, Futre, ha più di 1000 goal, ha cambiato un paio di nomi, decine di maglie, ma è sempre li, nel cassetto, insieme a tutti gli altri, pronto ad entrare e far vincere i LANT.

Io allo stadio non ho più messo piede dal lontano 1990, anno del militare.
Vivere a fianco degli ultras più beceri d'italia, Atalanta su tutti, mi ha nauseato.
 
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view post Posted on 9/5/2009, 21:50
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CITAZIONE (PrincipeN @ 9/5/2009, 22:46)
grandissimo racconto Michele, l'ho letto e riletto.
io non avevo le grette, ma il mio calcio è tuttora formato da giocatori di Das, ognuno diverso dall'altro, ognuno con la sua anima.
tuttora mi capita di giocare, il mio capocannoniere di tutti i tempi, Futre, ha più di 1000 goal, ha cambiato un paio di nomi, decine di maglie, ma è sempre li, nel cassetto, insieme a tutti gli altri, pronto ad entrare e far vincere i LANT.

Io allo stadio non ho più messo piede dal lontano 1990, anno del militare.
Vivere a fianco degli ultras più beceri d'italia, Atalanta su tutti, mi ha nauseato.

Avrei giurato che ti sarebbe piaciuto, Stefano, e mi fa un piacere boia. Adesso però levami una curiosità: giocatori di Das su...quale campo, con quale pallone, che tipo di maglietta...
 
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view post Posted on 9/5/2009, 22:03
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ho circa 150 calciatori, fatti con un'apposita formina.
negli anni 70 si vendeva una confezione legata al calcio.
Oggi, il mio campionato, il 298°, vanta 8 squadre da 10, molti di questi giocatori sono vecchie glorie, utilizzati saltuariamente.
Un mio amico d'infanzia ha fatto il mio stesso percorso, anche se il suo campionato è da 30 squadre !!!
le prime 3, si giocano la coppa campioni in un torneo apposito che ci giochiamo al termine dei due campionati.
C'è poi un vero e proprio calcio mercato, i migliori spesso non cambiano solo squadra interna, ma spesso ce li scambiamo tra noi.
il terreno di gioco è un semplice tappeto, la porta quella del subbuteo.
il portiere ha una forma sempre simile, sdraiato in tuffo, con un supporto dietro la schiena, che lo tiene in piedi.
Gli attaccanti solitamente sono cos' come escono dalle formine, in piedi con le braccia lungo i fianchi.
La preparazione del giocatore, tuttora ne faccio è davvero maniacale, a seconda di come si modellano i piedi, visto che il giocatore viene tenuto in posizione verticale al momento del tiro o del passaggio (la palla è del giocatore più vicino), puoi creare un centravanti di potenza, alto o basso, con i piedi quasi schiacciati, o di maggior classe, i piedi leggermente allungati danno la possibilità di effettuare pallonetti o cucchiai.
I difensori sono invece generalmente con le gambe molto allargate, quasi in posizione di rovesciata, in modo che possano meglio marcare gli attaccanti (tutti i giocatori vengono appoggiati nelle loro posizioni, 3 in attacco, un regista di difesa, due centrocampisti e tre difensori).
Il gioco è pressochè a centrocampo quindi con i registi, la posizione tipica è quella di un giocatore leggermente in corsa con il piede girato di piatto (maggior precisione, poca potenza) o di collo ( minor precisione maggior potenza).
a centrocampo ci sono triangolazioni continue, si perde la palla se questa arriva più vicina all'altro giocatore, in genere si arriva all'attaccante, che viene sollevato e tira.
Uno tra questi, hoeness, un tedescone ciccione, è talmente potente, essendo tarchiatello, che riesce a spezzare le braccia dei portieri.
Ogni squadra ha la propria divisa, al termine del calciomercato provvedo a dipingere i nuovi.
Le palline sono di Das e le partite sono di 7 minuti.....
Appena passi dalle mie parti ti sfido :)
 
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Jaca.randa
view post Posted on 9/5/2009, 22:28









Senza le grette forse non saresti stato genoano ma qui di certo non si sarebbero percepiti il colore della tua adolescenza e l'ardore di una passione.

Una condivisione che diventa un privilegio grato. :rosa:
 
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view post Posted on 9/5/2009, 22:29
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per meglio spiegarmi, questo è albertosi, portiere della mia nazionale
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questo cabrini, difensore
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Platini e futre, centrocampisti, il primo regista difensivo, la posizione del piede permette tiri di punizione a girare, il secondo è con me dal 1976, più di mille goal all'attivo, centrocampista di classe, fa passaggi millimetrici, ed ha un buon tiro dalla distanza
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questo è il capocannoniere del mio ultimo campionato, 22 goal, van basten
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dedicato a pholas, 3 doriani, vialli, attaccante atipico in movimento, seconda punta, mancini, regista e lombardo, con la pelata :) difensore

se notate le braccia sono state rifatte i un secondo momento, o appartengono a qualche calciatore che ha smesso l'attività.
Non le ridipingo, per affetto.....
:D
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Baba_
view post Posted on 9/5/2009, 23:45




Grazie per aver condiviso e descritto così bene quella passione, che a leggerla così, pare di averla vissuta.
Sembra di vedervi, tu e gli altri amici, impegnati o assorti intorno a quel tavolo, e chi vi aiutava regalandovi i tappi o stagnando gli oggetti, diventando bambini a loro volta.
Un insieme di gesti, di passioni e forse l'ansia delle ore che passavano e avreste voluto non finissero mai.

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CITAZIONE (PrincipeN @ 9/5/2009, 23:29)
per meglio spiegarmi, questo è albertosi, portiere della mia nazionale
.....

Eri un piccolo scultore!
Pensa che ora c'è un tipo di silicone liquido che, colato sopra ad un oggetto, diventa una forma (il negativo) molto comoda poi da staccare.
Il gesso (o anche l'argilla resa più malleabile mescolandola con l'acqua), se non delle polveri pronte da miscelare con l'acqua si possono utilizzare per formare gli oggetti.
(Nel caso volessi riprendere..)
:rosa:
 
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view post Posted on 10/5/2009, 10:10
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CITAZIONE (PrincipeN @ 9/5/2009, 23:03)
La preparazione del giocatore, tuttora ne faccio, è davvero maniacale...Appena passi dalle mie parti ti sfido :)

Oh, Stefano, credo che le tue prime parole in quote descrivano perfettamente lo stato d'animo con cui facevo le maglie da applicare ai tappi e anche la lavorazione preliminare di quelli, che non era affatto banale. Ancora oggi non so dirti se mi divertivo di più a giocare le partite o a preparare le squadre. Mi ricordo che il papà di un mio amico mi chiese una volta di fargli la squadra del Napoli della sua gioventù, degli anni trenta, tutta gente sconosciuta ma con un giocatore che non dimenticherò mai per il suo nome, Attila Sallustro. Gli feci le maglie azzurre, ovviamente, ma riuscii a "stilizzare" la N in maniera particolare (non so come feci, perchè non so ancora oggi tenere una matita in mano), e usai il pilot azzurro su una striscia bianca per il nome del giocatore . La sua faccia quando gli consegnai le grette fu un misto di emozioni a me completamente inaspettate. Mi diede mille lire (mille lire!), le rifiutai, me le cacciò in tasca a forza e mi consegnò un sacchetto di tappi che aveva messo da parte da settimane (alcuni decisamente buoni, come quelli del chinotto e dell'aranciata San Pellegrino). Credo di avergli fatto davvero una sorpresa gradita perchè sua moglie mi diede una carezza e mi disse "il cielo ti benedica" (al giovin camallo, pensa tu...).

L'invito è ovviamente accettato (prepari il terreno di gioco in via Marghera? :lol: ), ma preferirei affrontarlo come stage piuttosto che come sfida. 'Ste cose mi piacciono da impazzire.

CITAZIONE (Jaca.randa @ 9/5/2009, 23:28)
Senza le grette forse non saresti stato genoano ma qui di certo non si sarebbero percepiti il colore della tua adolescenza e l'ardore di una passione.
Una condivisione che diventa un privilegio grato.

CITAZIONE (Baba_ @ 10/5/2009, 00:45)
Grazie per aver condiviso e descritto così bene quella passione, che a leggerla così, pare di averla vissuta.
Sembra di vedervi, tu e gli altri amici, impegnati o assorti intorno a quel tavolo, e chi vi aiutava regalandovi i tappi o stagnando gli oggetti, diventando bambini a loro volta.
Un insieme di gesti, di passioni e forse l'ansia delle ore che passavano e avreste voluto non finissero mai...

Gentili signore del mal di testa, è un piacere sapere che riuscite a leggere ciò che è effettivamente stato.
:rosa:
 
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view post Posted on 10/5/2009, 10:45
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Linotipista

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certo che rimanere "bambini" nell'animo così.. con la capacità di divertirsi, inventare e perdersi in un gioco (che non è più "solo" un gioco...

è fantastico!

mi avete stupito con quello che avete scritto (oltre ad avermi aperto un mondo sconosciuto: io più che a pili non giocavo....)
 
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view post Posted on 10/5/2009, 10:53
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Trafficante di sogni

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le birette (aut grette) erano destinate alle corse ciclistiche su marciapiede;
il campionato di calcio si faceva con i bottoni, grigi contro neri, stesso sistema identico del subbuteo, schicchera sul bottone grande a incocciare quello piccolo (il pallone), tiri finché non lisci, tiro in porta dichiarato.
Il campo, una coperta di lana, magari con qualche riga per definire area e fallo laterale, alrtimenti si usava il gesso, quello da sarti però, non quello scolastico.
Le porte venivano fatte con le mollette e con gli avanzi delle retine per la spesa.

Con mio fratello, invece, facevamo la partita direttamente con le figurine (o con i doppioni o con foto ritagliate dai giornali e incollate su carte da gioco). La palla era di carta ricoperta di scotch e le porte vecchie scatole di scarpe. Questo gioco è stato tramandato ai miei figli che piccolini mi hanno costretto a "tenere il portiere" per ore.
Il problema è che non si può giocare in due per cui decidi spudoratamente chi vince e chi perde (un po' come moggi)
 
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view post Posted on 10/5/2009, 11:00
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CITAZIONE (condor57 @ 10/5/2009, 11:53)
il campionato di calcio si faceva con i bottoni, grigi contro neri, stesso sistema identico del subbuteo, schicchera sul bottone grande a incocciare (il pallone), tiri finché non lisci, tiro in porta dichiarato

Uso ammirevole di termini tecnici assolutamente propri del gioco. :lol: D'ora in poi il soprannome alternativo a pennuto sarà mastro birette.
 
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view post Posted on 10/5/2009, 11:45
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l'aspetto più importante credo sia legato al fatto che allora non c'era bisogno di giochi "già fatti", si riusciva ad inventare giochi quasi a gratis che coinvolgevano molte persone.
Il tuo racconto michele e le successive testimonianze degli amici, mi fa davvero pensare che in fondo, l'animo bambino tende a prendere spesso il sopravvento.
grazie a Dio, non saremmo adulti senza quell'animo.
Il descrivere in modo così accorato i giochi di allora significa che in quel momento sei andato a riprendere una parte a te cara e l'hai riaccompagnata poi nuovamente a giocare nei vicoli di Genova.
Spesso mi ritrovo ad aprire il cassetto e riprendere in mano i miei giocatori e spesso ci gioco ancora.
La maggior parte delle volte però mi limito a guardarli a toccarli, in quanto ognuno di loro racconta delle storie a me care.
Vittorie sconfitte, infortuni, amici, tutti racchiusi dentro semplici pezzi di das a cui tempo fa ho dato una forma.
O è forse più bello pensare che siano stati loro, i miei giocatori a darmi una forma, a regalarmi momenti belli e creare un ponte indistruttibile col bambino di allora.
 
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rikkitikkitavi
view post Posted on 10/5/2009, 14:51




io giocavo allo zerbino.
in alto c’era la bocciofila, con i suoi campi levigati come biliardi, gli incontri ufficiali con le quadrette in divisa, gli arbitri e un’atmosfera ovattata.
scendendo più in giù, dove per tutto l’inverno e gran parte della primavera tirava un vento che portava via, c’erano i campi da bocce ai lati della strada. dove si giocava sul serio, dove bisognava fare attenzione agli ostacoli naturali, un avvallamento, un sassolino, una piccola gobba del terreno. e nella bella stagione il sole, ancora non riparato dagli alberelli striminziti che all’epoca erano stati appena piantati, picchiava crudele sui fazzoletti che i giocatori portavano in testa.
più in basso, dove la strada finiva davanti ad un muro e dove le macchine arrivavano soltanto per parcheggiare, c’eravamo noi, i ragazzini, protagonisti di interminabili partite al pallone, “ai 10”, e del gioco delle grette, praticato più o meno a partire dall’inizio del giro d’italia, e fino al mese di luglio. perché per noi le grette erano il ciclismo: si tracciava la pista con il gesso sull’asfalto, con lunghi rettifili interrotti da curve, curvette, tornanti.
c’era la regola non scritta ma rispettata come un patto d’onore, che in gara i ciclisti dovevano essere uno diverso dall’altro, il che portava a delle conseguenze che incidevano sui rapporti di quella strana società che si riuniva nei pomeriggi per la competizione. poiché tutti volevano avere anchetìl, si creavano delle priorità che erano determinate dall’età, dalla prestanza fisica, dall’autorevolezza: quelli che erano in cima alla piramide si dividevano, a giorni alterni, l’onore di gareggiare con anchetìl. che poi dovevi anche meritartelo, nel senso che anchetìl non poteva mica arrivare ultimo; non è che fossi obbligato a vincere, ma se non arrivavi almeno terzo, anche se eri grosso come una montagna, perdevi la possibilità di gareggiare con il tuo favorito per una o due settimane, a seconda dell’entità della disfatta. quando non era il tuo turno di anchetìl, potevi usare gaul, o vanlòi: vastenberghen no, perché nessuno sapeva come si scriveva. gli altri avevano nencini, baldini, e giù a scendere.
leggi dure, quelle delle grette.
e poi c’era la fabbrica.
da noi allo zerbino il metodo era standard. per la materia base avevamo due fornitori: il bar luigina, quello dove andavano “i più grandi” e roma. roma era quello che passava per i campi da bocce dello zerbino di mezzo, per vendere bottigliette di gazzosa, aranciata e chinotto. alla sera prima di tornare a casa passavamo da lui, passavamo dal bar e ci dividevamo, più o meno fraternamente, i tappi delle bottigliette. che non erano mica tutti uguali: c’erano quelli buoni che, per una particolare capacità dello stappatore, mantenevano il fondo liscio e potevano così scorrere facilmente sull’asfalto. e poi c’erano i “grammi”, quelli che, per incuria o insipienza, avevano il fondo piegato e non potevano essere utilizzati per correre. ma erano utili anch’essi (allo zerbino non si buttava via niente): da questi tappini si toglieva il sughero con un cacciavite, e il sughero veniva utilizzato per appesantire opportunamente la gretta, che alla fine del processo era così composta: dentro un involucro di célofan (si scrive così) l’immagine del corridore con uno sfondo colorato a fantasia, quindi uno o due sugheri di recupero; tra l’involucro e il fondo della gretta (conservando il sughero) si spalmava dello stucco, facendo bene attenzione a che la composizione interna non risultasse più alta del bordo del tappino.
pura arte.
e la competizione, a biccelate inferte con l’indice sui rettilinei o con il pollice, quando occorreva la precisione per posizionarsi al meglio all’inizio di una curva o di un tornante. e infine il colpo che distingueva il campione dal giocatore medio: noi lo chiamavamo riolla, o riollìn, e permetteva, con un colpo solo, il superamento dei tornanti più tortuosi. si posizionava la gretta “in piedi” tra l’indice e il medio della mano destra (io sono mancino), poi con l’indice della mano sinistra si spingeva (non trascinandola, che era proibito) la gretta: il gesto effettuato con maestria portava la gretta, attraverso un percorso curvo, a superare il tornante e a prendere un vantaggio difficilmente colmabile dai giocatori medi, quelli che – per dire – non potevano aspirare a niente di più di un nencini.
la classe.
 
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