Proprio ieri, in copertina di La Stampa, ci si chiedeva se fosse più utile evitare di propagandare questi episodi, che danno visibilità e notorietà ai terroristi ed alle loro azioni, rafforzando involontariamente la loro condotta. Non è una discussione facile, anche se si è portati a pensare che la censura volontaria sicuramente potrebbe servire (Wilde diceva: Parlatene male, ma parlatene). Ma cadere nell'indifferenza anche questa volta é troppo. Eppure, la codifica dell'informazione sembra non voler trovare altre misure. E che debbano essere i media a dare una sterzata alla cosa, é fuori dubbio: l'alternativa sarebbe esibire disprezzo ed inflessibilità, le uniche armi che potrebbero avere successo, ma sfido chiunque a farlo, quando tuo figlio o fratello o amico è lì, bendato, in attesa della lama. E' in grado la comunità dei media, di usare un linguaggio che arrivi inequivocabile alle orecchie e gli occhi dei terroristi e comunichi che la resa non la vedranno mai e poi mai ? Perchè questa guerra al terrore (che ha avuto come innesco stavolta la guerra all'Iraq, ma che non ne avrebbe in realtà bisogno, come è stato per l'11 settembre) si combatte anche così. Loro sono perfettamente in grado di annusare la nostra paura o l'indifferenza, ma penso che noi non siamo capaci di rispondere con altrettanta decisione, e a volte non siamo abbastanza informati su quello che é l'esercito del terrore, i suoi collegamenti e la logica che li anima (esiste, esiste, non sono "così" pazzi) che non é la stessa della seppur barbara ragione di stato che da il via alle guerre. Il pericolo, come al solito, é nel sonno che sembra invadere la testa di troppe persone.
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