IERI OGGI & DOMANI

Le sette città d'oro di Cibola

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Paul the Templar
view post Posted on 7/6/2008, 11:55




Nel 1527 una spedizione spagnola,comandata da Panfilo de Narvaez,governatore della Florida per volontà del re Carlo V mosse i suoi passi all’interno del territorio americano,ufficialmente per trovare nuovi territori da assoggettare alla corona,in realtà per cercare qualcosa che agli spagnoli interessava sicuramente di più:l’oro.

Una flotta di 5 navi e settecento uomini si mise in mare,destinazione Florida;ma la spedizione,nata da subito sotto i peggiori auspici,perse più della metà degli uomini per diserzione,oltre a perdere due navi in seguito allo scatenarsi di furibonde tempeste.
Muovendosi verso nord,quello che restava della spedizione entrò nel territorio dei nativi Apalachee,che non accolsero affatto bene i conquistadores;i loro continui attacchi ben presto decimarono le truppe spagnole,che si trovarono ben presto in difficoltà.
Dell’oro agognato non c’era alcuna traccia,anzi;il territorio era davvero povero,così Narvaez decise di costruire delle zattere,in modo da raggiungere con esse il Messico.Durante la traversata,due delle zattere affondarono,e con esse morì anche il capo della spedizione,Narvaez;gli ottanta uomini rimasti decisero quindi di lasciare le imbarcazioni e camminare fino al confine con il Messico.
Ma la fame,le malattie e gli immancabili attacchi dei nativi decimarono il drappello,che alla fine,dopo un viaggio da incubo durato quasi otto anni,si ridusse a 4 uomini,i cui nomi diventeranno importanti per la storia futura e per la nascita delle leggende sulle favolose sette città d’oro di Cibola.

I quattro erano Alvaro Cabeza de Vaca,che scrisse il racconto del terribile viaggio attraverso la Florida,fino al Messico in un libro intitolato “Naufragio”;Alonso del Castillo Maldonado,Andrea Dorantes de Carranza e Estevanico,un possente negro di origini marocchine,che fu il primo nato in Africa a calpestare il suolo americano.
Il nuovo governatore Francisco Vázquez de Coronado incaricò proprio Estevanico,che in teoria conosceva bene la zona e un frate,Marcos De Niza,dell’esplorazione di quella parte del Messico non ancora conosciuta;quando il frate tornò,era solo.
Estevanico,a suo dire,era stato ucciso dai nativi,e lui si era salvato per miracolo.

Ma raccontò qualcosa di importantissimo per gli spagnoli;aveva visto la leggendaria Cibola,una città in cui tutto era coperto d’oro,dai tetti alle scale dei palazzi,fino a parti di strade.
Cibola,con le sue sei città gemelle,era un’antica leggenda spagnola,originata nel XII secolo,quando gli arabi attaccarono Merida,in Spagna.

Si raccontava che sette vescovi,per non far cadere le ricchezze della città nelle mani dei Mori,avessero caricato carovane di muli con oro e altri oggetti preziosi,e che si fossero spinti aldilà del mondo conosciuto.giunti in un posto sconosciuto,avevano fondato sette città,fra le quali la citata Cibola,e inoltre Aira, Anhuib, Ansalli, Ansesseli, Ansodi, Ansolli e Con.
Alcuni erano convinti che le sette città d’oro erano state costruite ad Antilia,mitica città costruita su di una grande isola nell’oceano;altri invece erano sicuri che i vescovi avessero raggiunto proprio una terra sconosciuta,e quando arrivarono i primi racconti dei conquistadores sulle ricche terre dell’India,poi identificata come America,il mito si diffuse anche nelle nuove terre.
Così Coronado,convinto dal racconto di De Niza,decise di organizzare una spedizione;a convincerlo fu il racconto di de Niza,che però era lacunoso.

Il frate,infatti,non era entrato a Cibola,ma si era limitato ad osservarla dall’alto,temendo che i nativi potessero ucciderlo.
Aveva raccontato che dalla sommità della collina sulla quale si era appostato,era possibile vedere,ad ovest,l’oceano Pacifico.
Come abbiamo visto,De Niza era sopravissuto alla tragica esplorazione di De Narvaez;le sue descrizioni,assieme a qualche brano tratto da Naufragio di Cabeza de Vaca erano le uniche testimonianze di un favoloso tesoro nascosto nel Messico;era un frate,e questo probabilmente convinse Coronado a intraprendere una spedizione che,alla fine,si rivelò importantissima per la conoscenza del territorio e dei popoli che lo abitavano,ma che dal punto di vista principale,la ricerca dell’oro,fu un clamoroso fiasco.

Il 22 aprile 1540 Coronado,alla testa di 350 spagnoli,oltre 1300 nativi,quattro sacerdoti,fra i quali Marcos De Niza,intraprese il viaggio,partendo dalla provincia spagnola di Coliaca.Ecco le sue parole fedelmente riportate nella relazione finale destinata al re di Spagna:

Alli ventiduoi del mese d’aprile passato, parti’ dalla provincia di Culiacan con parte dell’esercito e con l’ordine che io scrisse a V. S., e secondo il successo tengo per certo che s’indovinò a non metter tutto l’esercito unito in questa impresa, perché sono stati così grandi i travagli e mancamento della vettovaglia, che credo che in tutto questo anno non si potesse effettuar l’impresa, e già che si effettuasse sarebbe con gran perdita di gente; perché come scrissi a V. S. io feci il viaggio di Culiacan in 80 giorni di strada, la quale io e quei gentiluomini a cavallo miei compagni portammo su le spalle e ne’ nostri cavalli un poco di vettovaglia, in modo che da questa in poi non portammo niuno di noi d’altre robbe necessarie tanto che passasse una libra, e con tutto ciò, e con l’essersi messa in questa poca vettovaglia che portammo tutta quella regola e ordine possibile, ci mancò: e non è da farsene maraviglia, perché il cammino è aspro e lungo, e fra gli archibusi che si portavano, nel salir delle montagne e coste e nel passar dei fiumi, ci si guastò la maggior parte del maiz. E perché io mando a V. S. dipinto questo viaggio, non le dirò in ciò altro per questa mia

Ben presto l’armata si trovò in difficoltà;muovere quasi duemila uomini significava avere problemi logistici di non facile soluzione,incluso il dover trovare ad ogni costo cibo;così ben presto Coronado dovette dividere le sue forze,creando dei gruppi quasi autonomi.
Lui partì alla testa di qualche centinaio di persone,le truppe scelte;gli altri seguivano a distanza,con la maggior parte dei rifornimenti.
Dopo una marcia estenuante,attraverso l’arido territorio della Sonora,arrivarono finalmente alla tanto agognata meta.
Ecco le parole del deluso Coronado,che invece della ricca Cibola,si trova davanti un miserabile villaggio abitato da nativi:

Sempre m’accostavo più al mare al mio giudicio e con effetto sempre me gli ritrovavo più lontano, in modo che, quando giunsi a Chichilticale, mi ritrovavo lungi dal mare quindeci giornate, e il padre provinciale diceva che v’era distanzia solamente da cinque leghe e che egli l’avea veduto.

Ricevemmo tutti grande affanno e confusione con vedere che ogni cosa trovavamo al roverscio di quel che aveva detto a V. S. Gli Indiani di Chichilticale dicono che, se vanno mai al mare per pesce e altre cose che portano, vanno traversando e vi fan dieci giornate, e mi par che fosse vera l’informazione ch’io ebbi dagl’Indiani. Il mare si rivolta a ponente a quel dritto dei Coraconi per dieci o dodeci leghe, dove compresi che fussero comparse le navi di V. S. che andavano a cercare il porto di Chichilticale, che il padre disse che stava in trentacinque gradi. Iddio sa la pena che io ne ho, perché temo che non gli avvenga qualche disgrazia. E se essi seguiranno la costa, come dissero, fin che loro durerà il vivere che portano con esso loro, di che io gli lasciai provisione in Culiacano, e se non saranno incorsi in qualche contrarietà, spererò bene in Dio che abbin già scoperto qualche cosa buona, e con questo se gli perdonerà il tardar che hanno fatto.

In Chichilticale mi riposai duoi giorni, e sarebbe bisognato che ce ne fosse stato più, secondo che ci trovavamo stanchi i cavalli, ma perché ci mancava la vettovaglia non ci fu dato luogo a riposar più. Entrai nel fine del paese disabitato la vigilia di san Giovanni, e per refrigerio dei travagli passati nei primi giorni non trovammo erba, ma peggior cammino di montagne e cattivi passi che non avevamo fatto per l’adietro; e venendo i cavalli stanchi, se ne sentirono molto, in modo che in questo ultimo deserto perdemmo più cavalli che non avevamo fatto per l’adietro, e mi morirono alcuni Indiani amici, e uno Spagnuolo che si chiamava Spinosa, e duoi mori che morirono mangiando certe erbe per esserli mancata la vettovaglia
.”

La delusione terribile creò scompiglio tra gli spagnoli;avevano creduto di trovare oro e ricchezze,trovavano invece miseria,fame e malattie;Coronado dovette usare tutta la sua autorità per evitare che il frate,Marcos De Niza,venisse giustiziato dai furibondi spagnoli.
La fame iniziò a mietere vittime,e gli spagnoli furono costretti ad assaltare i miserabili villaggi nativi per poter sopravvivere.
A questo punto Coronado aveva due alternative;proseguire e cercare l’oro in posti diversi,o tornare con le pive nel sacco,cosa che avrebbe significato la rovina economica,oltre che la probabile destituzione dal comando.

Decise di proseguire,in direzione dell’attuale Arizona;dopo un’altra marcia estenuante,arrivarono al villaggio nativo di Hawikuh,dove gli spagnoli cercarono inutilmente di approvvigionarsi;furono invece costretti a combattere duramente,e lo stesso Coronado venne ferito.
Costretto a fermarsi,il comandante mandò pattuglie di spagnoli in giro per la zona,alla ricerca disperata di oro.

Un contingente,guidato da Pedro de Tovar si imbattè nel grande fiume Colorado,un’altra,guidata da Lopez de Cardenas arrivò fino al Gran Canyon;ma nessuna delle due trovò nulla,se non miserabili villaggi Hopi,i fieri e combattivi nativi.
Ecco come descrive Coronado la delusione per l’infruttuoso esito delle sue ricerche:


"Restami ora a dar conto delle sette città e regni e provincie, di che il padre provinciale diede relazione a Vostra Signoria, e per non dilattarmi molto posso dirle in verità che in niuna cosa che disse ha detto il vero, ma è stato tutto al roverscio, eccetto nel nome delle città e delle case grandi di pietra, perché, avvenga che sian lavorate di turchino
né di calcina né di mattoni sono, nondimeno
buonissime case, di tre, di quattro e di cinque solari, dove sono buoni alloggiamenti e belle stanze con corridori, e certe stanze sotto terra assai buone e mattonate, le quali son fatte per l’inverno e sono quasi alla maniera delle stufe e le scale che hanno per le lor case son quasi tutte levatoie e portatili, che si levano e mettono quando lor piace, e son fatte di due legni con i lor scaloni come le nostre. Le sette città sono sette picciole, tutte di queste case che io dico, e stan tutte vicine a quattro leghe, e si chiamano tutti regno di Cevola e ciascuna ha il suo nome, e niuna si chiama Cevola, ma tutte insieme si chiamano Cevola; e questa che io chiamo città gli ho posto nome Granata, così perché ne ha qualche simiglianza, come per la memoria di Vostra Signoria
In questo dove io sto ora alloggiato possono esservi qualche dugento case, tutte circondate di muro, e parmi che con l’altre, che non sono così, possono arrivare a cinquecento fuochi. V’è un’altra terra vicina, che è una delle sette ed è alquanto maggior di questa, e un’altra della medesima grandezza di questa, e l’altre quattro sono alquanto minori, e tutte io le mando dipinte a Vostra Signoria con il viaggio: e pergamino dove va la pittura si trovò qui con altri pergamini.
"

Delle tanto decantate ricchezze,Coronado e il suo corpo di spedizione non aveva trovato nulla;fu così che quando i nativi,probabilmente esasperati dalla presenza spagnola,gli parlarono di Quivira,una terra grande e ricca che si estendeva a nord ovest,si mosse immediatamente per cercare di salvare dal disastro la spedizione.

Per giorni gli spagnoli camminarono verso la nuova meta,ma quando arrivarono scoprirono che Quivira era si un grosso villaggio,ma povero come gli altri.
Coronado mise a morte i nativi che lo avevano ingannato,e sollecitato dal governatore del Messico,decise di rientrare;sul posto lasciò solo i due francescani rimasti e pochi altri uomini,troppo deboli per seguirlo.
Quando tornò finalmente in Messico,dell’orgoglio corpo di spedizione rimanevano solo un centinaio di uomini;gli altri o erano morti,o avevano disertato.

Nonostante tutto,Coronado rimase governatore della Galizia;era completamente rovinato,e la sua spedizione era stata un fallimento totale dal punto di vista economico.
Ma aveva aperto le porte alla colonizzazione dell’America,grazie all’esplorazione dell’Arizona e di parte del Kansas.

Le tanto agognate sette città d’oro di Cibola si erano rivelate una bufala clamorosa,ed erano costate migliaia di vite umane;a parte gli spagnoli,moltissimi nativi erano stati trucidati per impossessarsi di cibo,oltre che nel tentativo di estorcere informazioni sul mitico oro.
E suona come un’autentica e sinistra beffa il resoconto finale di Coronado sui regali inviati al re;non oro ne gioielli,non argento o pietre preziose……

Ecco le parole finali del comandante,che suonano come una scusa per aver perso tempo,denaro e vite umane con risultati nulli:

Io averei voluto mandar a Vostra Signoria con questo spaccio
molte mostre di cose che sono in questo paese, però il viaggio è sí lungo e aspro che mi è difficile a farlo. Però mandole dodeci mantelli piccioli, di quei che le genti del paese sogliono portare, e una veste ancora che a me pare che sia ben fatta: guardila, che a me par che la sia molto ben lavorata, perché non credo che in queste Indie sia stataveduta cosa alcuna lavorata ad ago, se non doppo che gli Spagnuoli vi abitano. E le mando anco duoi panni dipinti
degli animali che sono in questo paese, ancora che come dico la pittura sia molto mal fatta, perché in dipingerla non vi consumò il mastro più d’un giorno: io ho vedute
altre pitture nelle mura delle case di questa città, con assai miglior proporzione e meglio fatte. Le mando una pelle di vacca, certe turchine e duoi pendenti d’orecchie delle medesime, e quindeci pettini degl’Indiani, e alcune tavolette guarnite di queste turchine, e duoi canestretti di vimene lavorati, di che g’Indiani hanno grande abbondanza
."
 
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