CITAZIONE (WebMichi @ 3/2/2006, 21:49)
....Sulla minore portata innovativa del primo periodo non sono d’accordo: Fabrizio ai suoi esordi era un misto di Brassens (modello tutt’altro che semplice)...
Brassens è stato il suo primo amore,idealizzato a tal punto da aver sempre evitato di incontrarlo,per paura di doverne restare deluso in qualche modo (cito De Andrè dalla sua biografia).
Sono d'accordo anch'io sull'impatto immediato di De Andrè con un tipo di musica e di poesia niente affatto conciliabile con temi più leggeri o facili.
Sul tema generale,ritengo Faber un poeta in assoluto,prima di tutto,in second'ordine un cantautore.
Lo dicono le stesse esperienze iniziali,le frequentazioni con Tenco,per esempio.
Ma sopratutto le letture disperate degli esistenzialisti francesi.
Non dobbiamo dimenticare che Faber inizia proprio ispirandosi a loro,che non sono assolutamente gente da rima amore-cuore.
Da Geordie a Il testamento,passando per la Ballata dell'eroe alla Città vecchia,Fabrizio usa pochissimo la musica e molto più il testo per,uso un termine poco corretto,divulgare la sua opera.
Del resto il particolare timbro di voce andrà affinandosi e inspessendosi con il tempo,"grazie" a migliaia di sigarette e a migliaia di whisky,che conferiranno quel tono roco che diventeranno un marchio di fabbrica inscindibile dal suo personaggio.
Ho iniziato ad ascoltarlo nel 70,poco prima di la buona novella e Non all'amore,imparando ad amare però tutta quella produzione così diversa e innovativa che aveva fino ad allora composto.
Il suo lirismo diventa ancor più acuto ed evidente proprio in concomitanza con i due lavori citati.
Nella Buona novella traccia un ritratto disperato e sincero di Gesù,visto come uomo,eccezionale si,ma solo uomo.In questo album l'alchimia voce-testo si fonde in maniera sovrumana,tanto da risultare impossibile per chiunque immaginare quel disco cantato da qualcun altro.
In non all'amore la poesia raggiunge il culmine,sulle dolenti parole di Masters,che lui riprende con ancor più pessimismo,creando le dolenti figure del Blasfemo o del matto,del chimico o del giudice.
Ecco,credo che sia la poesia,quella particolare capacità di fondere mirabilmente la lirica a dolenti note a caratterizzare ancor più il Faber successivo.
Se agli inizi non aveva curato in particolar modo la parte strumentale,che risulta difatti più striminzita,con i due album citati si riconosce il tentativo di dare "aria"al testo,armonizzandolo per raggiungere direttamente l'ascoltatore.
Poesia che non conoscerà mai,nel corso della sua vita,una fase di stasi,ma solamente pause tese alla ricerca di nuove espressioni e nuove sonorità,che esploderanno in gioielli come Creuza de mà,il primo vero album etnico italiano,o nelle Nuvole,e ancora più tardi in quel capolavoro supremo che è stato il suo canto del cigno,Anime salve.
Un poeta capace di andare in direzione ostinata e contraria,fuori dagli schemi,in difesa di umili e oppressi o con il dito puntato sulle nuvole,che ci lasciano solo una voglia di pioggia.
Potente,eroe,messia o puttana,la donna e l'uomo sono umani alla deriva,spesso e volentieri,ma sono anche l'araba fenice che risorge dalle sue ceneri.
La grandezza del poeta si misura anche nella capacità di toccare tutte le corde e tutti gli argomenti.
E in questo,credo,umilmente,che abbia trovato la sua dimensione più vera.