| Di dove ero capitato avrei dovuto rendermene conto alla prima “consulenza”. mandati in tre in una aziendina di ristrutturazioni edili in Umbria, con il titolare che ci raccontava di come lavorava, del personale e di quelle robe lì. E io intanto mi chiedevo cosa ci stavamo a fare lì, perché questo ci ha chiamati, in realtà il suo problema era riscuotere i crediti, ma noi con quello non ci potevamo fare niente. Alla sera il “capo” mi dice: “ma tu sei anche un informatico, no?” e io gli dico che sì, di informatica ne so qualcosa; e lui di rimando “e allora perché al cliente non gli hai fatto vedere una tabella pivot?”. cosa cavolo c’entra una tabella pivot, e cosa gliene può fregare a un tizio che ha un’impresa con quattro magutt “niente, e quello di sicuro non ci capisce niente, però capisce che noi siamo bravi e conosciamo anche l’informatica”. che non è esattamente quello che intendo io con il termine professionalità. Ma non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire. E poi i drammi, quelli veri. nel dicembre 2001 era venuta fuori la crisi della Fiat e chi ci ha rimesso immediatamente sono state le piccole e piccolissime imprese metallurgiche nell’hinterland di Torino, quelle che erano fornitori di fornitori di fornitori della Fiat, che da un giorno all’altro - o per lo meno così raccontavano - si sono trovate senza ordinativi. Avevano tutte dei punti in comune: il titolare era un ex operaio della Fiat e il cliente era uno solo, massimo due, altri ex operai o capetti che però erano un po’ più ammanicati e avevano una catena più corta. Ci chiamavano perché erano alla canna del gas, ma non è che noi potessimo trovargli dei clienti o degli ordini, né potevano pensare che noi avessimo la bacchetta magica per diversificare la produzione. Però la consulenza costava, e forse gli sottraeva quel minimo di liquidità che gli era rimasta. Per risollevarli ci voleva un miracolo, e quello che li faceva era morto da duemila anni. Un po’ facevano pena, e provavamo a vedere se si poteva in qualche modo abbassare i costi, che so, degli acquisti: niente da fare, avevano già le condizioni migliori. Dopo un paio di giorni si rendevano conto che non gli servivamo a niente e la collaborazione finiva. Di quelle aziende io ne ho viste due, credo che abbiano tutte e due chiuso nel giro di poco tempo, come chissà quante altre nella zona. E poi c’è stato l’ex ciclista. Uno che era stato anche abbastanza importante negli anni ottanta, ai tempi di Moser e Saronni (ma lui non era né l’uno né l’altro). si era fatto una bella villa in un paese tra Monza e Lecco, aveva iniziato con un’agenzia di assicurazioni sfruttando la notorietà, poi quella era andata male e aveva impiantato una specia di fabbrichetta di abbigliamento sportivo nella taverna della villa. Lui produceva magliette, calzamaglie, pantaloncini, poi li vendeva a qualcuno che ci metteva su un’etichetta e li consegnava a qualche negozio. Al momento era tutto fermo, nessuno lavorava, le macchine spente, qualche pezzo di abbigliamento qua e là. Dopo avergli parlato cinque minuti, capivi subito che l’ex ciclista era una solenne testa di cazzo incapace di mantenere una relazione, e quindi destinato a perdere tutta la clientela e a non acquisirne della nuova (le voci corrono nell’Alta Brianza). se poi andavi un pochettino più a fondo, scoprivi che aveva dei debiti monumentali con il fisco, non voglio nemmeno sapere con i fornitori. Con ogni probabilità gli assegni con i quali ha pagato la consulenza (anche lì due giorni: poi cosa vuoi fare?) non erano coperti, ma fortunatamente quello non era un problema nostro. Fine seconda puntata.
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